“Non vorrei intanto che, come in tempo d’inondazione, gli stronzi degli asini dissero ai dorati frutti:”Siamo anche noi pomi che galleggiamo”, così a qualunque stolto o asino sia lecito ragliare all’indirizzo dei nostri argomenti, presentati qui o altrove, in questo o in altro modo”.
di Guido del Giudice
Non è certo un caso che, in concomitanza con la morte di Gerardo Marotta, e il conseguente scoppio della guerra di successione alla guida dell’Istituto Studi Filosofici, il gruppo di Nuccio Ordine pubblichi a firma di Roberto Bondì, un nuovo attacco alla paranza nemica di Palazzo Strozzi. Il vecchio cartello “aquilecchiano” si è evidentemente ricompattato, per dare l’assalto a ciò che resta del glorioso istituto napoletano. E’ comparso, infatti, on-line un articolo dall’eloquente titolo: “Il monumento di Giordano Bruno a Michele Ciliberto” (chi fosse interessato può leggere direttamente lo scritto a questo link). Si tratta dell’ennesima puntata della fiction, iniziata nel 2000, sulla spartizione dei finanziamenti per il 4° centenario del rogo. Tra vendette personali e accuse di plagio (l’armamentario solito delle faide accademiche) lo scontro portò alla formazione dei due gruppi rivali, facenti capo a Michele Ciliberto e Nuccio Ordine. La squallida lotta di potere politico-accademica si è trascinata in questi anni, con i due contendenti che hanno utilizzato senza scrupoli i mezzi a propria disposizione (testate giornalistiche, riviste letterarie, istituzioni culturali e politiche). Non è il caso di ripetere qui tutta la storia: chi mi segue da tempo sa di cosa parlo. Ho già avuto modo di esprimere il mio giudizio sull’operazione “enciclopedia bruniana”. L’idea di sistematizzare, con una metodologia di tipo illuministico, un pensatore la cui grandezza risiede nell’intuizione e nella visione istintiva, può nascere soltanto dalla consueta pretesa di imprimere un sigillo di possesso, da parte di pedanti avvezzi a tener distinto il lessico dal pensiero. Perciò non entro nel merito delle contestazioni mosse a Ciliberto in questo nuovo articolo, anche se esse mi sembrano talmente pretestuose da ispirare fastidio anche quando colgono nel segno. Il Ciuccio rimprovera al Mulo di avere le orecchie troppo lunghe! E’ francamente paradossale che gli “aquilecchiani” fingano di scandalizzarsi perché quelli della loro fazione non sono stati citati nell’opera, quando da 15 anni entrambe le parti applicano la congiura del silenzio nei confronti del sottoscritto. Per carità, si può non essere d’accordo con le mie interpretazioni, criticare le mie traduzioni, mettere in dubbio le mie scoperte, ma è assolutamente impossibile o disonesto fingere d’ignorarne l’esistenza. E questi, con la faccia come il…lato B, si lamentano di non essere stati citati! Ma per cosa? Cosa hanno prodotto di veramente innovativo su Bruno in questi anni? Se avessero realizzato la centesima parte di quel che ho fatto io, avrebbero stampato decine di saggi, pubblicato centinaia di recensioni su riviste letterarie e giornali. E si meravigliano che l’ enciclopedia non citi il nome di qualcuno dei firmatari del manifesto anti-Ciliberto del 2000 o che, in risposta alle critiche rivolte al “pensiero unico cilibertiano”, il partito del califfo di Palazzo Strozzi metta in evidenza che l’unico contributo di Nuccio Ordine all’ecdotica Bruniana è un saggio sull’asinità pubblicato 30 anni fa e che perfino il titolo della sua autobiografia, “L’utilità dell’inutile”, è plagiato dal testo del filosofo francese Thierry Paquot. Dal canto suo, nel 2010 Ciliberto fece realizzare ad una sua allieva una bibliografia bruniana aggiornata, in cui erano stati inseriti, a bella posta, lavori di cani e porci, tranne i miei. Nemmeno quelli per i quali lo stesso Ciliberto aveva scritto la prefazione, prima che, avendo dato fastidio alla casta, decretasse il mio rogo “in effigie” (chi vuole può leggere il mio commento a quella porcata). Cosa ancor più ridicola, schiere di professorucoli di second’ordine, di mezze calzette allevate negli scantinati delle università, aizzati dai loro padroni, si sentono in diritto di emettere giudizi su cose che nemmeno conoscono. Addirittura uno di questi, che pure ha avuto la fortuna, senza trarne purtroppo alcun profitto, di essere allievo di un galantuomo come Aniello Montano, invitato ad un convegno qualche anno fa, accettò a patto che non ci fossi io! Evidentemente temono di essere svergognati, dopo che li ho sfidati più volte a pubblica disputa. Con questa gente meglio averci a che fare il meno possibile! Sono “quei mercanti di cattedre prezzolati dallo Stato”, di cui parlava Schopenhauer, “i quali debbono vivere sulla filosofia con moglie e figli, e la cui parola d’ordine è quindi primum vivere deinde philosophari, mercanti che di conseguenza hanno preso possesso della piazza e già si sono presi cura che quivi nulla abbia valore se non quanto essi fanno valere, e che quindi esistono meriti solo in quanto piaccia a loro e alla loro mediocrità di riconoscerli”. Costoro non vogliono ammettere di essere stati ormai superati dalla storia. Oggi devono rendere conto ad un pubblico molto più vasto di quello rinchiuso e sfruttato nelle aule universitarie. Ricerca, studi e pubblicazioni rimangono fondamentali, ma essi sono ormai accessibili ad un pubblico molto più vasto e preparato, che chiede di essere guidato, illuminato, e non passivamente indottrinato. La crociata del Nolano contro l’ ”abitudine a credere” è stata vinta, ma costoro ancora non se ne sono accorti! Chi si ostina a non capire che il web, i social, con tutti i loro difetti (e sapete bene come io mi batta contro i pericoli della falsa informazione), costituiscono il nuovo palcoscenico su cui anche la filosofia deve confrontarsi, vive fuori dal mondo. Meglio i convegni-passerella con decine di presunti esperti bruniani cinesi o giapponesi o le centinaia di appassionati che hanno commentato il 17 febbraio le mie pagine, esprimendo attivamente il loro sentimento? Purtroppo la bestia tricipite accademia-politica-editoria continua a riproporre stancamente ogni anno sempre le stesse cose, sempre le stesse facce, che ripetono sempre lo stesso copione. Sono quelli che già Giordano Bruno aveva caratterizzato come “sordidi e mercenari ingegni, che, poco o niente solleciti circa la verità, si contentano saper, secondo che comunemente è stimato il sapere, amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e reputazion di quella, vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere”.