“L’angolo di don Sapatino” di Saverio Pirozzi

Giordano Bruno, nel 1584, in Inghilterra pubblica lo Spaccio de la Bestia Trionfante, la prima delle tre opere ‘morali’ scritte in italiano. Come ogni scrittore fa, raccoglie materiale per sviluppare la sua idea, il suo progetto, e prende appunti sui vari aspetti che gli vengono a mente. Non sarà difficile immaginare il filosofo che scartabellando in qualche biblioteca si affretta a prendere appunti sul mito di Orione o sulla figura di Chirone; gli sarà senz’altro capitato di ‘stendere’ un qualche appunto sui dialoghi tra Sofia e Saulino. Non credo proprio che quella meraviglia di arguzia, brio, umorismo ma anche di indubbi ‘messaggi’ cabalistici, forse alchemici, che costituisce la descrizione della vita su al piccolo borgo alle falde del colle di Cicala, dove risiedeva la sua famiglia, sia stata ideata e scritta in un continuum con il resto dell’Opera. È naturale, quindi, che quando va a dare alle stampe lo Spaccio, il Nolano si sia ritrovato con un bel po’ di materiale ‘avanzato’ e inutilizzato.

Ed ecco il genio, e l’uomo di amore, in azione. Ogni foglio scritto, ogni rigo persino, è stato il parto del suo ingegno; è un po’ figlio suo e non vuole che vada perso. In quei fogli, inoltre, è racchiusa l’analisi di contenuti avulsi dalla struttura dell’Opera appena terminata ma che, al tempo stesso, completano il suo ‘messaggio’ morale pertanto dice; “…dopo aver dato spaccio non a tutti miei pensieri, ma a un certo fascio de scritture solamente, che al fine, non avendo altro da ispedire, piú per caso che per consiglio, ho volti gli occhi ad un cartaccio che avevo altre volte spreggiato e messo per copertura di que’ scritti: trovai che conteneva in parte quel tanto che vi vederete presentato.”

Il problema che, però, gli si presentava era a chi dedicare quest’Opera di scarti (forse, nello spirito della coincidentia oppositorum, la più amata). Lo spirito arguto del Nolano sa che, così com’è, anche incompleta in qualche modo, non può offrirla ai suoi protettori ‘storici’, quindi la dedica a se stesso, alle sue origini; ma Bruno non sarebbe Bruno se lo facesse in modo usuale, normale; ed ecco che, forse, allora gli sarà venuto in mente Sabatino Savolino, quel chierico un po’ tonto, parente della mamma, che tante volte aveva deriso da bambino; quel chierico che, chissà, credeva di essere il Vescovo di Nola ma che era di Casamarciano (altro casale della sua città natale, oggi comune a sé).

E La Cabala del cavallo Pegaseo, con l’aggiunta dell’asino Cillenico viene dedicata proprio a don Sapatino, vescovo di Casamarciano.

La rubrica che l’amico Guido del Giudice mi ha invitato a tenere su questo sito prende ispirazione proprio da questa figura: pertanto che sia pure “L’Angolo di don Sapatino”.

Perché proprio don Sapatino? Perché lo spirito che guiderà la scelta delle riflessioni che intendo pubblicare in questa rubrica è quello di un lettore qualsiasi delle opere di Giordano Bruno; non un cattedratico, né un letterato e neppure un biografo pronto ad intraprendere l’attività di topo di biblioteca, alla ricerca di testimonianze più o meno dirette della vita del Nolano. Le riflessioni che intendo offrire proporranno il punto di vista di un qualsiasi amante delle opere del Nolano, magari qualche volta anche un po’ inesperto, e spazieranno, in particolar modo, dai Dialoghi Italiani al Candelaio, con ‘passi’ di queste opere proposti in italiano corrente, con qualche riflessione che la loro lettura mi ha ispirato, alla personalità, oltre che alla vita stessa, del mio nobile conterraneo.

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