Il 28 maggio è morto a Bruxelles Ilya Prigogine. Nato a Mosca nel 1917, è stato uno dei grandi protagonisti della cultura scientifica e filosofica del ’900. Conseguì il Nobel per la Chimica nel 1977 per gli studi sulla termodinamica, mentre sul piano filosofico fu riconosciuto teorico della complessità. Pubblichiamo uno dei suoi ultimi testi, inviato alla presentazione parigina delle Opere italiane di Giordano Bruno, curate da Nuccio Ordine ed edite da Utet.
Un inedito del filosofo scomparso
Prigogine: con Bruno
di Ilya Prigogine
Quante idee originali in Bruno, quante intuizioni geniali che superano largamente il livello intellettuale della sua epoca. A me sembra che a questo riguardo ci sia una vera ingiustizia. Bisognerebbe far risaltare maggiormente Giordano Bruno come profeta della scienza umana. Potrei citare numerosi punti dove i problemi posti da Bruno sono problemi di cui discutiamo ancora oggi. Uno di questi problemi è, in tutta evidenza, quello dell’universo infinito. Noi non sappiamo se ci troviamo su un piccolo globulo che naviga in uno spazio dove si trovano numerosi altri universi, o se il nostro universo è unico. Ma anche se unico, esso sarebbe immenso e, in un certo senso, corrisponderebbe all’immagine bruniana dell’universo infinito. Bruno insiste sull’assenza di centro. Ogni punto dell’universo ne è il centro. È proprio ciò che si ritrova nel modello omogeneo ed isotropo della moderna cosmologia. Ogni galassia è circondata da altre galassie che si allontanano a una velocità proporzionale alla distanza. Non c’è alcun centro.
L’idea di un universo infinito è più che mai vicina all’uomo contemporaneo. Grazie alla tecnologia e all’informatica siamo collegati a tutti i punti del globo. Siamo in presenza di un’umanità essenzialmente infinita. Ed è ben noto che questa situazione, che è all’origine della «globalizzazione», ha in sé il meglio e il peggio.
L’uomo non è più prigioniero della Terra. Pensiamo alle spedizioni su Marte in un futuro prossimo. Ma qual è la sezione che possiamo esplorare? Per il momento siamo vincolati dal valore finito della velocità della luce. È questa una prigione definitiva? Attualmente vi sono molte ricerche che indicano che la velocità della luce è un fenomeno più complesso di quel che si crede. Si possono portare esempi in cui la velocità della luce è più elevata di quella prevista e anche esempi, studiati sperimentalmente, nei quali la velocità della luce è più piccola.
Nuccio Ordine, parlando di Bruno, ha scritto: «La lucida scelta di una filosofia dell’infinito esige una partecipazione totale che implica necessariamente una modificazione dell’esistenza personale». Mi sembra che questa sia una profonda verità. Noi avvertiamo la necessità che la nostra società sia più conforme alla diversità e alle dimensioni che troviamo intorno a noi. Ma per essere in armonia con questo universo in continuo divenire, dobbiamo trovare nuovi metodi di esplorazione. L’universo ha una dimensione «narrativa». Ad ogni livello, constatiamo che vi è una forma di storia. Il carattere narrativo significa che ci sono eventi imprevisti; da qui l’idea di un universo aleatorio. Tuttavia, siamo lontani dall’aver trovato la formulazione quantitativa che corrisponda alla dimensione della nostra visione. Nuccio Ordine lo ha ben messo in evidenza: «Per un uomo, pensare l’infinito consiste in un certo modo nel pensare se stesso come una minuscola parte di un tutto, nel manifestare con entusiasmo la certezza che la propria vita partecipa, fatte salve le dovute proporzioni, all’incessante movimento dell’Universo». È questa esattamente la conclusione alla quale ero pervenuto nelle riflessioni che hanno accompagnato la mia vita di ricercatore e di docente.